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Conchiglia vetro murano

40.00 

Conchiglia vetro murano 24 x 10 cm € 40 lavorazione in fornace colore rosa e sfumature giallo e marrone completa di scatola e garanzia.

La caratteristica della conchiglia vetro murano è il modo con cui solidifica il vetro, passa infatti dallo stato liquido del fuso, attraverso aumento di viscosità, alla rigidità del solido che si ottiene ad una temperatura ci 500° C. circa. In questo intervallo di tempo, detto “intervallo termico di lavorabilità”, il maestro potrà dare la forma all’oggetto ottenendo, poi, un prodotto finito che conserverà la rigidezza dei corpi solidi, ma che manterrà la trasparenza dei liquidi. Il vetro viene composto per il 70% circa da sabbia e silice che si trasforma in liquido ad una temperatura di 1700°C.
Per fondere la conchiglia vetro murano ad una minor temperatura la silice, viene aggiunto un materiale detto “fondente”. Tali composti incidono nella tecnologia del vetro non solo perché sono causa di un risparmio economico, ma perché sono protagonisti delle caratteristiche che il vetro muranese assume e per il quale è famoso nel mondo intero. Il fondente principale è la soda, la quale ha anche la proprietà di allungare i tempi di solidificazione, mettendo il maestro nelle condizioni ottimali per ben operare sul vetro. Più alta è la percentuale di soda, tanto di più il vetro solidifica lentamente (vetro “lungo”), tuttavia la presenza di tale fondente non deve essere in eccesso, esistono infatti degli equilibri da rispettare. Nel caso contrario il vetro della conchiglia vetro murano nel tempo, porterà in superficie il fondente opacizzando l’oggetto (in termine “muranese” si dice che il vetro “sputa” la soda). Per limitare tale tendenza viene utilizzata una sostanza detta stabilizzante: il calcare o carbonato di calcio. Altri composti della conchiglia vetro murano è che si aggiungono alla composizione sono il nitrato e l’arsenico che hanno azione affinante, facilitano, cioè, la fuoriuscita delle bolle migliorando l’omogeneità del fuso. Se alle materie prime indicate si aggiungono delle sostanze coloranti od opacizzanti, si ottengono i famosi vetri colorati e opali.Durante la fusione il vetro veniva tirato fuori dal crogiolo molte volte per essere immerso in acqua al fine di omogeneizzarlo e depurarlo.Oggi la purezza della soda viene garantita dal processo Solvay, da nome del suo inventore, mentre anticamente si usavano fondenti di provenienza orientale. Infatti le analisi effettuate sui vetri antichi indicano come fondenti delle ceneri di piante con elevate quantità di ossido di potassio e magnesio di provenienza siriaca chiamate “allume di catino” o “cenere di soria”. Può destare sospetto che la decisione di usare questo tipo di cenere, sancita con editto del Maggior Consiglio del 1306 che vieta l’uso della cenere a base potassica ottenuta dalle felci, sia di natura politica. Infatti tale editto assicurava alle galee patrizie veneziane il ritorno dall’oriente con le stive cariche. Le ceneri delle piante venivano sottoposte ad un processo di depurazione per ottenere il “sale di cristallo” o “sale di vetro”, utilizzato, assieme alla silice pura e il manganese di Piemonte, il più pregiato dei decoloranti, da Angelo Barovier nel XV secolo per ottenere il più prestigioso vetro muranese: il cristallo. Per quanto riguarda la silice dal 1300 sino al XVIII secolo si utilizzavano i ciottoli del Ticino detti cogoli del Tesin molto puri, o i cogoli de Verona che erano meno pregiati perché, come si legge da un manoscritto anonimo del XVIII secolo, fa il vetro zaleto (giallino). In seguito, e fino ai nostri giorni, si utilizzarono le sabbie silicee di cava.
Famose quelle di Istria e Dalmazia citate nei documenti come sabie de Pola e de Lisa. La purezza della comchiglia vetro murano oggi è garantita, oltre che dalla qualità delle materie prime, anche dalla modalità di fusione e dalla facilità che si ha, grazie all’utilizzo del gas metano quale combustibile, di raggiungere alte temperature. Il forno di più largo impiego è il forno a crogioli di una capacità media di 500 Kg. al giorno. Tali crogioli sono conosciuti dai maestri come, in ordine di grandezza: palea, ninfa e curisiol. La composizione viene caricata, a crogiolo vuoto, in due o tre volte.Gli strumenti base che oggi si usano per lavorare il vetro sono gli stessi che si ritrovano nelle storiche incisioni. Infatti in questa incisione dell’edizione latina dell’Arte Vetraria di Antonio Neri (1668) la figura A viene indicata come forfex italis tagliante dicta, la C come instrumentum italis borsella dictum e la D come borsella da fiori italis, qua vitrum vellicando diversi generi flores vel ornamenta efficiunt, strumenti che i maestri contemporanei ancora oggi usano senza alcuna modifica e che riconoscono con il nome di tagliante, borsela e borsea par vasi. I legnami più usati per la combustione erano all’inizio, gioco forza, legni prevalentemente indigeni, quali l’ontano ed il salice. Ben presto, tuttavia, la laguna veneta non potè più fornire la necessaria provvista, per cui rivolgersi alla terraferma diventò una necessità. Nel 1285 una disposizione imponeva l’uso del solo ontano quale legno per la combustione , anche se la parola ontano indicava genericamente tutto il legno da ardere che non fosse di uso domestico. Infatti nei documenti seguenti la dicitura honarius verrà sostituita da lignus selvaticus.Con il legno come combustibile si è arrivati fino al 1940-50, quando si è passati ad una fusione con un misto di gasolio, per la fusione vera e propria, e legna per il mantenimento della temperatura. Questo sistema è stato quasi subito abbandonato dall’avvento del gas metano, usato ancor oggi nelle fornaci perché non inquina, permette una fusione al giorno e pertanto, offre una maggior possibilità di produzione. Molte cose sono cambiate nel corso dei secoli, tuttavia un denominatore comune nella storia della vetraria muranese rimane la lavorazione a mano degli oggetti prodotti come la conchiglia vetro murano e la tradizione che viene tramandata ancora oggi frutto di esperienze di vita vissuta del maestro col vetro, o, come ancora dicono i maestri stessi, frutto di parecchie bruciature che le incarna el mestier. 

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