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Vaso murrina celeste

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Vaso celeste murrina 27 x 17 cm € 45 lavorazione in fornace con la murrina veneziana colore celeste completo di scatola e garanzia.

 

Esaurito

La caratteristica specifica del vaso murrina celeste  è il modo con cui solidifica, passa infatti dallo stato liquido del fuso, attraverso aumento di viscosità, alla rigidità del solido che si ottiene ad una temperatura ci 500° C. circa.

In questo intervallo di tempo, detto “intervallo termico di lavorabilità”, il maestro potrà dare la forma all’oggetto ottenendo, poi, un prodotto finito che conserverà la rigidezza dei corpi solidi, ma che manterrà la trasparenza dei liquidi.

Il vaso murrina celeste viene composto per il 70% circa da sabbia e silice che si trasforma in liquido ad una temperatura di 1700°C. Per fondere ad una minor temperatura la silice, viene aggiunto un materiale detto “fondente”. Tali composti incidono nella tecnologia del vetro non solo perché sono causa di un risparmio economico, ma perché sono protagonisti delle caratteristiche che il vetro muranese assume e per il quale è famoso nel mondo intero.

Il fondente principale del vaso vetro murrina verde è la soda, la quale ha anche la proprietà di allungare i tempi di solidificazione, mettendo il maestro nelle condizioni ottimali per ben operare sul vetro.

Più alta è la percentuale di soda, tanto di più il vetro solidifica lentamente (vetro “lungo”), tuttavia la presenza di tale fondente non deve essere in eccesso, esistono infatti degli equilibri da rispettare. Nel caso contrario il vetro, nel tempo, porterà in superficie il fondente opacizzando l’oggetto (in termine “muranese” si dice che il vetro “sputa” la soda).

Per limitare tale tendenza viene utilizzata una sostanza detta stabilizzante: il calcare o carbonato di calcio. Altri composti che si aggiungono alla composizione sono il nitrato e l’arsenico che hanno azione affinante, facilitano, cioè, la fuoriuscita delle bolle migliorando l’omogeneità del fuso.

Se alle materie prime indicate si aggiungono delle sostanze coloranti od opacizzanti, si ottengono i famosi vetri colorati e opali. Oggi la purezza della soda viene garantita dal processo Solvay, da nome del suo inventore, mentre anticamente si usavano fondenti di provenienza orientale.

Infatti le analisi effettuate sui vetri antichi indicano come fondenti delle ceneri di piante con elevate quantità di ossido di potassio e magnesio di provenienza siriaca chiamate “allume di catino” o “cenere di soria”.

Può destare sospetto che la decisione di usare questo tipo di cenere, sancita con editto del Maggior Consiglio del 1306 che vieta l’uso della cenere a base potassica ottenuta dalle felci, sia di natura politica. Infatti tale editto assicurava alle galee patrizie veneziane il ritorno dall’oriente con le stive cariche.

Le ceneri delle piante venivano sottoposte ad un processo di depurazione per ottenere il “sale di cristallo” o “sale di vetro”, utilizzato, assieme alla silice pura e il manganese di Piemonte, il più pregiato dei decoloranti, da Angelo Barovier nel XV secolo per ottenere il più prestigioso vetro muranese: il cristallo.

Per quanto riguarda la silice dal 1300 sino al XVIII secolo si utilizzavano i ciottoli del Ticino detti cogoli del Tesin molto puri, o i cogoli de Verona che erano meno pregiati perché, come si legge da un manoscritto anonimo del XVIII secolo, fa il vetro zaleto (giallino). In seguito, e fino ai nostri giorni, si utilizzarono le sabbie silicee di cava.
Famose quelle di Istria e Dalmazia citate nei documenti come sabie de Pola e de Lisa.

La purezza del vaso murrina celeste oggi è garantita, oltre che dalla qualità delle materie prime, anche dalla modalità di fusione e dalla facilità che si ha, grazie all’utilizzo del gas metano quale combustibile, di raggiungere alte temperature. Il forno di più largo impiego è il forno a crogioli di una capacità media di 500 Kg. al giorno. Tali crogioli sono conosciuti dai maestri come, in ordine di grandezza: palea, ninfa e curisiol. La composizione viene caricata, a crogiolo vuoto, in due o tre volte.

La prima carica viene effettuata alle 17 circa ad una temperature di 1200-1300° C., l’ultima intorno alle 21-22. La temperatura, poi, viene aumentata a 1400° C. per portare ad ebollizione il vetro e far uscire le bolle d’aria dal liquido e permettere l’omogeneizzazione del vetro stesso. Verso le 2-3 del mattino, la temperatura viene abbassata a circa 1200° c. in modo che alle 7, ora della ripresa dei lavori, il vetro abbia la necessaria viscosità che i maestri richiedono.

La fusione del vaso vetro murrina verde  avveniva in crogioli disposti in una fornace a legna, previa preparazione della fritta. La fritta era una prefusione di una mescola di cogoli macinati a cenere, che ad una temperatura di 700° C. diveniva una massa solida coesa.

Questa veniva disposta in crogioli, dove, dopo alcuni giorni o, in qualche caso, dopo alcune settimane, avveniva la fusione vera e propria per l’ottenimento di un vetro lavorabile. Durante la fusione il vetro veniva tirato fuori dal crogiolo molte volte per essere immerso in acqua al fine di omogeneizzarlo e depurarlo.

Il vetro colato in acqua, e nei tempi moderni anche il rimasuglio del fondo del crogiolo raffreddato a cielo aperto, veniva chiamato cotiso. In un libro podestarile del 1348 si legge che un tale Bartolomeo Tataro ha dato da riparare una cacia de fero, strumento che serviva a prelevare dalla padella il vetro fuso e travasarlo in acqua, per poi, previa aggiunta di altri materiali complementari, riportarlo a fusione.

Ed è questa la prima testimonianza di tale espediente tecnico che i vetrai muranesi indicavano come pratica del traghetar ( cavar) el vero in acqua. All’inizio del seicento il fiorentino Antonio Neri affidava a questa operazione il compito di liberare il vetro dalla soda in eccesso

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